L'isola di Creta (Candia per i veneziani) può essere considerata senza alcun dubbio il possedimento più importante di Venezia nel Mar Mediterraneo. A lungo desiderata, per la sua centralità nel Mar Egeo, che la rendeva lo scalo ideale per qualsiasi rotta verso l’oriente, fu letteralmente acquistata per mille marchi d’argento da Bonifacio di Monferrato, allora appena entrato in possesso del Regno di Tessalonica, dopo la fine della IV crociata. Il problema però fu di entrarne in possesso, perché Candia (come la chiamarono sempre i veneziani) non era sotto il controllo di chi l'aveva venduta, ma dei greci che la abitavano, per nulla intenzionati a diventar sudditi dei veneziani. Per fare un paragone, è come se adesso uno comprasse una casa di cui quello che l'abita si senta anche l'unico proprietario! Forse anche per questo lo spregiudicato capo dei crociati l'aveva ceduta a un prezzo... diciamo di favore, sempre per usare il linguaggio dei giorni nostri.
Per Venezia si trattò quindi di doverla conquistare, ma andarono incontro a mille difficoltà, tanto più che i cretesi, per render loro le cose più difficili, avevano anche invitato i genovesi di Enrico Pescatore a occupare le piazzeforti dell’isola. Questi era una strana figura di nobile-avventuriero-corsaro che fra l’altro si fregiò, per un certo periodo, anche del titolo di conte di Malta.
La presa di possesso dell’isola andò pertanto per le lunghe e fu irta di difficoltà. Soltanto nel 1211 i veneziani riuscirono ad ottenere un controllo - seppur provvisorio e parziale - del territorio e farvi sbarcare un primo contingente di coloni. L’isola fu divisa in sei parti, chiamate con gli stessi nomi dei sestieri di Venezia, in ognuno dei quali venne inviato un gruppo di coloni, investito di poteri feudali.
Dopo una serie di confusi eventi e ribellioni, sedate a fatica, al primo duca che era stato nominato , Jacopo Tiepolo, subentrò Paolo Querini (1216) e la carica fu resa annuale. Il nuovo duca dovette ancora scontrarsi coi genovesi, che infine furono costretti a trattare la pace, in cambio del ripristino dei privilegi commerciali di cui godevano prima della caduta dell’Impero bizantino.Nonostante fosse stato risolto il problema con Genova, la situazione del fronte interno, vale a dire i i difficili rapporti fra Venezia e i feudatari nativi dell’isola, non accennava a migliorare.
I coloni inviati da Venezia aumentarono notevolmente di numero, fino a raggiungere le 500 famiglie, ma la situazione non migliorò e le rivolte diventarono endemiche, motivate perlopiù dall’eccessiva pressione fiscale, con soventi scontri armati e spargimenti di sangue. Venezia fu costretta a intervenire con una flotta nel 1233 per sedare un’ennesima ribellione, poi ne seguirono altre nei decenni successivi (1274, 1277, 1283-99).
Quella che tuttavia convinse il senato veneziano ad abbandonare il sistema feudale ed a sostituirlo con il governo diretto fu l’ultima delle tre rivolte scoppiate nel secolo successivo. Accadde infatti che nel 1363 per la prima volta si era unita alle proteste dei feudatari greci anche la comunità veneziana dell’isola. Ben settanta rappresentanti della nobiltà locale si riunirono in una chiesa per eleggere una delegazione di 20 savi da inviare in madrepatria, col compito di sostenere quelle che loro ritenevano fossero richieste legittime, sia dei coloni che dei feudatari greci. Come al solito le proteste erano per l’elevata imposizione fiscale, che era stata ancora una volta aumentata per far fronte alle spese di ampliamento del porto di Candia.
Il Maggior Consiglio rispose in maniera addirittura beffarda, dicendosi convinto che i cretesi mai sarebbero riusciti a trovare in tutta l’isola venti persone savie in grado di discutere con loro di cose importanti. In realtà i governanti della città lagunare avevano sentore di mire secessionistiche da parte degli abitanti di Creta, veneziani compresi, visto che anche membri di antiche e importanti famiglie patrizie come i Venier, i Gradenigo, i Sagredo e i Molin avevano fatto causa comune coi feudatari greci, arrivando persino al punto di chiedere l’aiuto militare dei genovesi, acerrimi nemici di Venezia e per di più diretti rivali commerciali proprio nel Mar Mediterraneo.
Ci fu un altro tentativo di mediazione, anch’esso fallito, per cui ai cretesi non restava che l’insurrezione e a Venezia la repressione armata. Il duca Leonardo Dandolo, che si era opposto coraggiosamente ai rivoltosi, fu imprigionato. Ormai la situazione si era talmente aggravata che il 10 aprile del 1364 salpò da Venezia, diretta verso Candia, una flotta che trasportava un nutrito contingente militare al comando del condottiero di famiglia veronese Luchino Dal Verme.
La repressione fu rapida, decisa e spietata, proporzionata al pericolo corso di perdere una colonia che Venezia riteneva di vitale importanza per i suoi commerci e la sua economia in generale. Alcuni giorni dopo lo sbarco delle truppe di Dal Verme, Candia era già sotto controllo, le fortezze dell’isola caddero una ad una nel giro di poco tempo e i capi veneziani della rivolta arrestati e giustiziati. Quelli cretesi fuggirono e si nascosero nella zona interna dell’isola, dove continuarono la guerriglia. Nel giugno del 1366 tuttavia cadde anche la loro ultima roccaforte e furono tutti arrestati e decapitati. Dopo questi fatti la carica di castellano rimase permanente, con funzioni di difesa dell’isola e mantenimento dell’ordine.
E’ la città principale e la capitale di Creta. Con quel nome i veneziani chiamavano anche l’intera isola. Per i greci antichi si chiamava Heràkleion, per quelli di oggi è Hiràclio e si ritiene potesse essere in antichità uno scalo di Cnosso. Chi arriva dal mare, prima di sbarcare si trova di fronte la mole imponente della fortezza che i veneziani eressero nel XVI secolo (1523-1540), sullo stesso luogo dove preesisteva un torrione bizantino. Precedentemente, nel IX o X secolo, il porto era stato fortificato dagli arabi. La fortezza, che i veneziani chiamavano Castello a mare, attualmente è conosciuta col nome arabo di koules (castello, fortezza), datole dai turchi quando conquistarono Candia, nel 1669, dopo un assedio durato più di vent'anni anni.
Parlando della caduta di Candia, con la conseguente perdita dell'intera isola di Creta (tranne alcune piazzeforti che rimasero a Venezia, di cui parleremo) siamo arrivati all'importante argomento che riguarda la costruzione e il mantenimento in efficienza delle numerose fortezze che costellavano ormai i domini della città lagunare, che era diventato uno dei compiti principali per uno stato con ambizioni imperiali com'era quello veneziano. Oltre che le più belle navi del tempo, che uscivano dal suo arsenale, la Serenissima (così ormai si chiamava la città veneta) comincia a costruire quelle che diventeranno nei secoli successivi le più belle fortezze di tutto il Mar Mediterraneo, imitate e copiate ovunque, soprattutto dai suoi nemici. Questo importante compito verrà affidato ad una apposita magistratura, quella dei Provveditori alle Fortezze, istituita nel 1542 col compito specifico di provvedere appunto alla costruzione, manutenzione, armamento e approvvigionamento di fortezze e opere di fortificazione in genere. Affrontiamo questo argomento parlando di Candia perché assieme a Cipro, sarà il luogo dove le difese approntate dai Veneziani per difendere i loro possedimenti saranno messe maggiormente - e purtroppo più duramente - alla prova.
Prima di passare a valutare se le difese di Creta fossero state o meno all'altezza del difficile compito che le attendeva, c'è da sottolineare che ancora una volta (vale a dire dopo circa un secolo dopo l'esperienza di Cipro) il mondo occidentale europeo non colse l'importanza del momento storico e il valore della posta in gioco, negando la solidarietà a Venezia e non prestandole tutto l'aiuto che sarebbe stato necessario. Ne avrebbe avuto tutto il tempo, data la lunghissima durata dell'assedio, ma forse non riuscì neanche a capire che andare in soccorso a Venezia sarebbe stato anche nel suo interesse. Fecero eccezione i Cavalieri di Malta, i Cavalieri di Santo Stefano (Granducato di Toscana) e soprattutto la Francia, che inviò volontari e un numeroso contingente di soldati (6.000 circa) verso la fine della guerra, quando però le sorti della stessa erano ormai compromesse
Venezia quindi si apprestò quasi da sola alla difesa, cercando di porre rimedio come poteva all'evidente inadeguatezza di molte delle fortificazioni dell'isola. Alle difese di Candia avevano posto attenzione, fin dal secolo precedente, i più illustri e capaci fra i suoi architetti militari. Già nel 1518 Giano Maria Fregoso, recatosi sul posto, aveva previsto delle difese sul modello di quelle realizzate a Padova e Treviso in occasione della guerra contro la Lega di Cambrai. Un piano di fortificazione fu approntato anche da Alessandro Contarini nel 1532 e infine lo stesso Sanmicheli si era recato a Creta nel 1537. Stante la necessità di proteggere la popolazione, ormai numerosa, era stata prevista per la capitale dell'isola una nuova cinta di mura bastionate, a forma di poligono irregolare, che racchiudesse la città vecchia, comprendendo i nuovi quartieri. L'opera fu realizzata nel 1538 anche con la collaborazione di Girolamo Sanmicheli, nipote e collaboratore dekl celebre architetto, che nel frattempo aveva lasciato Candia.
Alcuni decenni più tardi, essendosi riscontrati dei punti deboli nelle opere realizzate per la difesa della città, i Provveditori alle Fortezze incaricarono Giulio Savorgnan, discendente da una nobile famiglia friulana, di porvi rimedio, eseguendo le ristrutturazioni e le modifiche necessarie. I lavori, compiuti con la perizia e le capacità che lo renderanno famoso fra gli architetti militari veneziani, termineranno nel 1566, quasi un secolo esatto prima della resa della città agli assedianti ottomani.
Nel XVII secolo lo scontro fra le due forze egemoni del Mediterraneo orientale era atteso. Il 24 giugno del 1645 gli ottomani, dopo aver finto una spedizione punitiva contro Malta, colgono di sorpresa i veneziani presentandosi davanti al porto di Canea con una flotta di 400 navi che trasportavano circa 60.000 soldati. Nello stesso tempo vengono attaccate alcune colonie veneziane lungo la costa della Dalmazia. La Canea e Rettimo vengono occupate in circa due mesi e lo stesso accade con Suda. Le mura di Candia, che verranno cinte d'assedio qualche anno dopo, ressero invece per più di 20 anni a tutte le numerose campagne di assedio che si ripeterono senza sosta dal 1648 a 1669. Per aver resistito così a lungo erano evidentemente state costruite con perizia, nonostante i timori che si avevano all'inizio che potessero far la stessa fine fine di quelle di Suda e La Canea. Il terrapieno che doveva resistere alle artiglierie era molto spesso e le mura erano intervallate da ben sette bastioni, che elenchiamo nell'ordine, così da poterli individuare nelle mappe illustrative, partendo dalla zona del porto: Sabbionara, Vitouri, del Gesù, Martinengo (il più munito), Betlemme, Pantocratora , Sant'Andrea. Fra il bastione Sabbionara e il Vitouri era stato costruito il Forte Dimitri, per impedire ai turchi di utilizzare la cima dell'altura su cui sorgeva.
Gli assalti si susseguirono senza sosta e alla fine gli ottomani avevano quasi rinunciato ad assaltare le mura puntando tutto sulle mine. Lo scontro infatti si svolgeva principalmente nel sottosuolo, fra i soldati turchi che scavavano cunicoli per far brillare mine e i veneziani che ne scavavano altre per intercettarli e far brillare contromine. Si stima che fra i difensori ben 3.000 fossero quelli impegnati in questa attività. Nel frattempo gli attacchi turchi ai possedimenti veneziani sul Mar Adriatico si erano conclusi con un nulla di fatto, mentre gli scontri sul mare avevano visto quasi sempre i veneti prevalere. La flotta veneziana aveva anche tentato - purtroppo senza un successo completo - il blocco navale sullo stretto dei Dardanelli, al fine di impedire che l'armata degli assedianti potesse ricevere rinforzi e vettovagliamenti.
Era diventata, col passare degli anni, anche una guerra costosissima, per entrambe le parti. Venezia - per finanziarla - era perfino arrivata al punto di mettere in vendita biglietti d'ingresso nella nobiltà veneziana, come se fosse una lotteria. Con 100.000 ducati (60.000 a fondo perduto e 40.000 di prestito), si diventava patrizio veneziano, senza bisogno di esibire il pedigree! L'aveva già fatto fatto in occasione della guerra contro Genova, con il nemico quasi in casa (a Chioggia), ma allora i biglietti d'ingresso erano solo trenta. In quest'occasione, pur col nemico ancora molto lontano da casa, i posti erano diventati più del doppio: sessantotto. Sto scherzando con le parole, anche per alleviare la tensione che provo solo nel raccontare questi fatti, ma evidentemente Candia era considerata una specie di ultima spiaggia. E infatti, con la sua perdita, cominciò il lento declino che di lì a poco più di un secolo avrebbe portato alla fine della Serenissima.
Antica stampa di Candia durante l'assedio degli ottomani - Wikipedia
Il Gran Vizir Hursid Ahmed Pascià - Wikimedia commons
Francesco Morosini, il valoroso comandante della guarnigione di Candia, non vedendo alcuna possibilità di rovesciare la situazione ed essendo ormai l'isola di Creta irrimediabilmente perduta, accettò le condizioni di resa, che prevedevano l'onore delle armi e l'assegnazione ai veneziani in tre piazzeforti: Suda, Spinalonga e Gravusa, che sarebbero rimaste sotto il loro controllo, come poi avvenne. Per aver accettato la resa senza consultarsi col Senato, Morosini subì un processo al suo ritorno a Venezia, dal quale uscì tuttavia prosciolto. E' curioso comunque che a finire sotto processo non siano stati i difensori che avevano cessato di combattere dopo pochi mesi, ma quelli che avevano resistito per più di vent'anni! Evidentemente, nonostante la loro fama di estrema efficienza, anche le magistrature veneziane ogni tanto qualche sbavatura se la permettevano!
Secondo i calcoli di alcuni studiosi il numero delle vittime di questa lunga guerra fu elevatissimo: 130.000 per i turchi e poco meno di 30.000 per i difensori, fra i veneti e gli alleati, che erano accorsi generosamente in loro aiuto. Da queste cifre, tenendo conto che i turchi sbarcati sull'isola erano stati 60.000 e che parecchi erano caduti ancor prima di iniziare l'assedio a Candia, è fuor di dubbio che la vittoria finale degli ottomani sia da ascrivere interamente alla loro capacità di mettere in campo, ogni volta che ce n'era la necessità, riserve quasi inesauribili di combattenti.
Nella parte occidentale del Golfo di Mirabello e precisamente lungo lo stretto che conduce al porto di Spinalonga, sorgeva anticamente una città il cui nome, Stinalonga, veniva ancora usato dagli abitanti del luogo per indicare sia la penisola che chiude il porto, sia lo scoglio che si trova alla sua estremità. Anche i veneziani adottarono questo nome, storpiandolo però in Spinalonga, a loro più familiare perchè così si chiamava anticamente l'isola poi detta "della Giudecca".
La posizione strategica dell'isolotto non sfuggì agli ingegneri militari veneziani, come non era sfuggito agli antichi, dato anche loro vi vi avevano costruito sopra una fortezza. Nel 1571 venne pertanto inviato da Sforza Pallavicini e Giulio Savorgnan un memoriale al Senato in cui si proponeva di dotare di adeguate fortificazioni l'isolotto di Spinalonga per impedire un eventuale sbarco nemico in quel tratto di costa. Nel 1974 il Senato deliberò in tale senso, quattro anni dopo, nell'estate del 1578, scrisse magistrati di Candia di occuparsi della fortificazione dell'isolotto e l'anno dopo il provveditore Luca Michiel era già sul posto, assieme al governatore Moretto Calabrese e al capitano della guardia Giovanni Bembo. L'incarico di eseguire il progetto della fortificazione era stato affidato all'ingegnere Genese Bressani e relativi disegni vennero tempestivamente inviati a Venezia.
I lavori per la realizzazione della fortezza non vennero praticamente mai conclusi, interrotti continuamente da diatribe e bisticci fra i vari ingegneri, ognuno dei quali voleva dir la sua criticando quello che avevano fatto - o proponevano di fare - gli altri. Tra tutti si distinse - a mio parere - Latino Orsini, che nel gennaio del 1584, dopo aver visionato i lavori, ... "trovava nella fortezza difetti tanto gravi da doverne suggerire un mutamento completo: sì da rendere pressoché inutile la spesa e la fatica sino allora durata, e da costringere a nuovi sacrifizi di denaro e di attività." Cito testualmente questo passaggio che ho tratto dall'imponente opera in quattro volumi di Giuseppe Gera "Monumenti veneti nell'isola di Creta" (Vol. I, parte prima, pag. 585, Bergamo 1905). Questo autore fornisce una descrizione dettagliata di tutta la "via crucis" che dovette percorrere quest'opera di vitale importanza per la di difesa dell'isola e vi si sofferma per decine di pagine. Trattandosi di argomentazioni molto tecniche, difficili anche da riassumere, soprattutto per un quasi profano in materia come il sottoscritto, segnalerò alla fine del capitolo - per chi voglia approfondire la questione - l'indirizzo del sito su cui è pubblicata l'opera da cui ho potuto attingere tali notizie. Anche le immagini riprodotte in bianco e nero provengono tutte quelle che appariranno riportate dalla medesima opera citata, preziosa anche per la parte iconografica.
L'ultimo dei molti a metter mano ai lavori della fortezza, prima dell'arrivo dei turchi è l'ingegnere Beati, che tuttavia non riuscì neanche lui a completare l'opera per difficoltà sopravvenute, in quanto "la assoluta mancanza dei mezzi e di materiali resero arduo il loro proseguimento." (opera citata di. G. Gerola, pag. 597). Era già il febbraio del 1644 e poco tempo dopo sbarcarono gli ottomani, e verrebbe da dire per assurdo "per fortuna", perché il loro arrivo mise fine almeno allo spettacolo poco edificante dei continui e incessanti litigi (vere e proprie "baruffe chiozote", verrebbe da dire) fra gli inzegneri veneziani e non. Forse anche questo era un segno che la Serenissima, le sue istituzioni, le magistrature e perfino i suoi tanto invidiati esperti architetti militari, erano avviati verso un inevitabile declino.
E utile comunque ricordare, per sbeffeggiarli un po', che i tanti (quasi tutti) inzegneri che fecero a a gara per trovare tutti i difetti possibili alla fortezza, furono smentiti proprio dal nemico, gli ottomani , che non riuscirono a conquistarla. Resterà veneziana ancora fino per 45 anni, poi cadde in mano ai turchi nella seconda guerra di Morea, dopo qualche mese di assedio, nell'impossibilità di poter resistere più a lungo senza ricevere rifornimenti.
La fortezza di Paleocastro
Verso la fine del XVI secolo era stata realizzata dai veneziani, a circa nove chilometri ad occidente di Candia. su progetto di Latino Orsini, la fortezza di Paleocastro. Era stata costruita, a forma triangolare, su di un promontorio a picco sul mare sottostante, in posizione favorevole per tenere sotto controllo tutta la baia di Candia con le sue artiglierie. Anche di questa fortezza, come del resto di tutte le altre dell'isola, Francesco Basilicata ha lasciato delle preziose illustrazioni, che fanno parte dell'opera sua più conosciuta, "Regnum Cretae", realizzata nel 1618. Le riportiamo qui sotto, assieme a una recente fotografia delle rovine della fortezza.
Canea è la seconda città dell'isola di Creta per importanza, ma senza dubbio la prima per la bellezza dei suoi quartieri, delle strade, delle case, che testimoniano i secoli di presenza veneziana nella città. Le sue origini risalgono all'epoca minoica. Fece parte dell'Impero bizantino e poi dei possedimenti veneziani, dopo la caduta di quest'ultimo. Tracce veneziane sono rimaste ovunque, nel porto, che risale alla prima metà del XIV secolo, nell'arsenale, ancora ben conservato, dove si costruivano le galere, e perfino negli stemmi veneziani che si possono osservare sulle mura delle case. Il centro della città è stretto fra il porto e le mura, i cui resti si possono ancor oggi vedere, in alcuni tratti ancora in buone condizioni, dato che i turchi avevano provveduto a restaurarle dopo la conquista.
Quando occuparono Canea, i veneziani si insediarono in un primo tempo all'interno delle mura bizantine preesistenti, sulla collina di Kasteli. Successivamente, nei primi decenni del XIV secolo, si decise - a causa del notevole aumento della popolazione - di costruire nuove mura che comprendessero i borghi sorti all'esterno del primitivo insediamento. Nel secolo XVI, con dell'avvento delle artiglierie, si decise la costruzione di nuove mura "alla moderna", che fossero in grado di farvi opposizione. Siamo nella quarta decade del secolo e all'opera imponente della loro progettazione e costruzione parteciparono i migliori fra gli architetti militari che operavano nei domini del Mediterraneo orientale. In primo luogo - naturalmente - il Sanmicheli, allora presente nell'isola, che si fece coadiuvare nel progetto da Giovanni Moro e Andrea Gritti il Giovane. I disegni vennero inviati a Venezia, dove furono esaminati dal condottiero e duca di Urbino Francesco Maria della Rovere, che li approvò. I lavori verranno completati nell'arco di trent'anni circa.
Per dei non esperti in materia di ingegneria militare, come lo sono io, è difficile capire come due fortezze progettate dallo stesso architetto negli stessi anni, possano resistere - contro gli assalti del medesimo nemico - una per due soli mesi (Canea) e l'altra per più di 120 volte tanto (252 mesi, come Candia). Sono convinto che sia un quesito difficile, che possa mettere in difficoltà anche gli specialisti. Si può provare a dire che nel caso di Candia, una volta individuati alcuni punti deboli, si pensò bene di provvedere a incaricare un giovane e promettente ingegnere - Giulio Savorgnan - a porvi rimedio , cosa che fu fatta con successo, visti gli esiti. Nel caso di Canea invece, quando a ridosso dell'attacco turco si capisce che i bastioni sono troppo distanti tra loro, la fossa angusta e i terrapieni poco profondi, non si provvede a migliorare la situazione - se non con modifiche troppo parziali - perché si pensa che il sistema complessivo di fortificazioni del golfo della Suda avrebbe garantito in ogni caso una sufficiente protezione alla città (vedi fortificazioni degli isolotti di Suda e di San Todero). Come sappiamo non andò così.
Non vi è dubbio tuttavia che esistono altri fattori importanti che influiscono sulle capacità di resistenza di una struttura fortificata: il numero dei soldati che la difendono, l'armamento di cui dispongono, la loro preparazione militare e non ultimo la testardaggine del comandante in capo, che magari le prova tutte prima di arrendersi... Certo non tutti possono essere eroici come Marcantonio Bragadin, che ha pagato a carissimo prezzo il fatto di avere tardato un po' troppo - secondo i suoi aguzzini - ad arrendersi. Certo, semplificando alquanto la questione, si può dire che anche le fortezze meglio progettate e costruite sono destinate - salvo rarissime eccezioni - a capitolare, prima o poi. Magari alcune di quelle considerate imprendibili per non essere mai state violate, come il celeberrimo forte di Sant'Andrea del Sanmicheli, considerato un capolavoro di ingegneria militare, hanno avuto anche la fortuna di non essere mai state attaccate e quindi messe alla prova!
Nel 1620, sempre per difendersi da una eventuale (e ormai probabile) attacco turco, venne costruita la fortezza Firkas, a protezione del porto. Un'altra fortificazione a difesa del tratto di mare dove si affacciava la città di Canea era quella dei forti dello scoglio di San Teodoro (uno in posizione elevata, l'altro sul mare), che furono i primi ad essere attaccati dai turchi. La guarnigione, comandata dal Capitano Biagio Giordani di Capodistria, non poteva resistere a lungo e quando i turchi stavano per aver la meglio, fecero saltare la santabarbara, uccidendo molti nemici. I sopravvissuti, fra gli eroici difensori, furono decapitati sulla nave capitana della flotta, comandata da Salish Yussif Pascià.
La flotta veneziana, che si trovava a non molta distanza, al riparo nella baia di Suda, non osò affrontare la flotta ottomana, limitandosi ad inviare tre galee, che trasportavano 500 soldati di rinforzo alla guarnigione e che riuscirono ad entrare indenni nel porto. Canea si arrese neanche due mesi dopo, ma i difensori poterono allontanarsi assieme alle tre galee con l'onore delle armi.
La fortezza Firkas si trova nel quartiere Topanas di Canea, dove - nel periodo dell'occupazione turca - abitavano le famiglie più agiate. E' stata costruita dai veneziani nel 1629, per completare le difese di Canea. Attualmente ospita il Museo navale . Nei pressi si trova l'antico faro, anch'esso costruito dai veneziani nel XVI secolo e restaurato dagli egiziani negli anni 1830 - 1840.
Nel territorio di Canea, uno dei quattro in cui era stata suddivisa dal XIV secolo l'isola, dopo l'eliminazione dei sestieri, furono realizzate nello stesso periodo, vale a dire nella seconda metà del sec. XVI, anche la fortezza di Garabusa e quella di Souda. Entrambe furono costruite su di un'isola ed entrambe con lo scopo di difendere Creta da eventuali sbarchi di truppe ottomane. La prima, Garabusa, si trova nella parte nord occidentale dell'isola e la seconda nel golfo di Souda, in posizione molto favorevole per la difesa del porto omonimo. Uno sbarco a Suda era molto temuto, per la sua vicinanza (solo 7 miglia) a Canea, ma soprattutto per gli alti fondali di quel tratto di costa, ideali per l'attracco di una grande flotta.
Era considerata una fortezza pressoché imprendibile, situata com'era sulla cima di un'isola rocciosa, con alcune pareti quasi a picco sul mare e le altre ben difese, oltre che dalla natura stessa del terreno (come si può constatare dall'immagine soprastante), anche da spesse mura, a prova di artiglieria. Venne costruita dai veneziani presumibilmente fra il 1579 e il 1584. Era considerata difficilmente espugnabile anche per le sue grandi riserve d'acqua e per la possibilità di praticare all'interno delle sue mura colture di prima necessità. Rimase infatti sempre veneziana, fino alla fine della guerra di Candia e lo restò anche dopo, in base alle clausole del trattato di pace con gli ottomani, che le permise di rimanere nelle disponibilità della Serenissima assieme alle altre due fortezze di Suda e Spinalonga.
Cadde in mano ai turchi alla fine del XVII secolo, non perché espugnata, ma per il tradimento del suo comandante di allora, che la consegnò al nemico in cambio di una ricca ricompensa in denaro. Questo personaggio, di cui non facciamo il nome per rispetto degli eventuali (e incolpevoli) discendenti, condusse una vita agiata per il resto della sua vita a Istambul, dove era conosciuto col nome di "capitano Grambusas", per perpetuare la memoria del suo tradimento.
Quello di Suda, situato nella baia omonima, era considerato nell'antichità uno dei porti più sicuri del Mediterraneo e tale lo reputavano anche i veneziani. In più assumeva una notevolissima importanza strategica per la la sua vicinanza alla città di Canea, la seconda - per importanza - dell'isola di Creta. Lo spiegano bene le parole usate dagli ambasciatori dei coloni veneziani per caldeggiare la proposta proteggere con opportune fortificazioni il porto: "...perchè sono assai porti per l'isola, ma non commodi per reduction de armada grossa sì per sito de quelli proprio per manchamento de aque, salvo quel de la Suda, a tre meglia vicino a la terra de la Canea, che è ampio et commodo et per qualunque armada....." (Monumenti veneti nell'isola di Creta, Giuseppe Gerola, Vol. I, parte 2 - pag. 551).
Il concetto risulta abbastanza chiaro, anconché espresso in veneto antico: non esistevano altri porti nell'isola più adatti di quello di Suda a un eventuale sbarco da parte di una armata nemica, trasportata da una grande flotta. L'invasione dell'isola temuta era evidentemente quella dei turchi e nel 1501 il Senato si dimostrò favorevole ad accogliere la richiesta. Senonché le cose - come del resto accadeva molto spesso - andavano per le lunghe. Si recarono sul posto il Sanmicheli nel 1537 e poi il Savorgnan nel 1562, ma solo nel novembre del 1572 si diede inizio ai lavori. L'isolotto su cui doveva esser realizzata la fortezza era denominato Fraronisi, vale a dire "isola dei frati", a causa del convento che sorgeva nell'isola stessa, mentre una piccola secca situata poco a nord-ovest era chiamata lo scoglio dei Conigli.
Secondo il progetto di Latino Orsini, che era stato incaricato di eseguire i lavori, l'isolotto doveva essere rinchiuso - ad esclusione della parte più orientale - in una cinta bastionata nel cui spazio interno dovevano essere realizzate tutte le opere necessarie per ospitare la guarnigione e i servizi necessari (chiese, edifici pubblici, pozzi, cisterne, alloggi, magazzini ecc.).
I lavori proseguirono senza intoppi, tanto da far dire all'Orsini nell'aprile del 1973 che il lavoro già compiuto in quei pochi mesi era: "... tanto, che in così breve tempo è come un miracolo..." (pag. 519, op. citata). È tuttavia da tener presente che nessuno, né fra i magistrati, né fra gli esperti (ingegneri e architetti militari) pensava che da sola la fortificazione dell'isolotto della Suda fosse sufficiente ad impedire uno sbarco della flotta ottomana nell'isola. Il Pallavicini, e con lui il Savorgnan, ritenevano fosse necessario costruire un "maschio" sull'estremità occidentale del porto, la così detta "culatta", situandolo nel bel mezzo delle acque, con le fondamenta a circa 10-12 piedi di profondità, che si elevasse di almeno 6 passi sopra il livello del mare e fosse dotato di almeno due ordini di cannoniere.
Il progetto ebbe l'approvazione del Senato, ma non fu mai realizzato. Il governatore Gian Maria Martinengo riteneva più economico e conveniente fortificare la piccola collina situata a sud del porto, denominata "Salto della Vecchia". Ma a questo si oppose Latino Orsini, il quale osservava che un fortezza in quella posizione non sarebbe riuscita a battere un largo tratto di spiaggia dove il nemico sarebbe potuto ugualmente sbarcare.
Dopo questa presa di posizione dell'Orsini si iniziarono i lavori per la costruzione di una specie di barriera sulle acque del mare, chiamata "porporella" (vedi illustrazione a sinistra) che avrebbe avuto lo scopo di restringere la bocca di porto, facendo deviare le navi nemiche in acque dove sarebbero state esposte ai colpi delle artiglierie dell'isolotto di Suda.
Per anni non si parlò più di fortificazioni entro il porto, ma si trattò di tempo sprecato, perché la "porporella" si rivelò una delusione. Si riprese pertanto a parlare di "maschio alla Culatta" e di "Salto della Vecchia", ma sempre in modo inconcludente e soprattutto con pareri discordi fra chi avrebbe dovuto fare anziché discutere a vuoto. Cito testualmente le parole del Gerola, che descrivono in maniera precisa la situazione di stallo che si era creata: "La molteplicità delle opinioni portò al solito risultamento, che le discussioni assorbirono tutta l'attività che si sarebbe dovuta dare ai lavori concreti. L'interno del porto rimase così sprovvisto di fortificazioni."
Latino Orsini aveva sempre sostenuto, in contrapposizione alla proposta del Pallavicini della costruzione del "maschio", che caso mai un "torrione gagliardo" (così lo chiamava lui) si sarebbe dovuto innalzare di fronte all'isolotto della fortezza di Suda, sulla collina di Podomuri. Siccome però tale fortezza poteva essere battuta dall'artiglieria nemica situata su un'altura, aveva proposto la fortificazione di Paleocastro, dove si trovavano i ruderi dell'antica Aptera, su una larga spianata che dominava tutte le alture sottostanti, compresa quindi Podomuri.
Purtroppo - e in quei tempi era diventata quasi una norma - alle discussioni seguirono altre discussioni, ai progetti altri progetti, qualche lavoro fu iniziato, ma poi interrotto, perché c'era sempre qualcuno, inzegnere, o magistrato, o governatore, o il senato stesso, che ne proponeva, un altro. Il risultato si può ben immaginare: chiacchiere tante, risultati zero.
Anche quello della fortificazione dello scoglio di Marati era un progetto per impedire uno sbarco della flotta turca sulle coste del golfo di Suda. Si era infatti individuato nel tratto di costa prospiciente tale scoglio un luogo di possibile sbarco, in alternativa a quello del porto della Suda. Anche qui ci furono pareri diversi e contrastanti, per cui - col passare degli anni - non se ne fece niente. A questo punto è bene dare la parola ancora a Giuseppe Gerola, che così scrive a proposito della mancata difesa delle coste e del porto di Suda, benché tutti sapessero che una grande flotta nemica solo in quel golfo poteva sbarcare: "Ma pur troppo il tempo mancava: e la Suda restò miseramente e fatalmente indifesa. Attraverso l'imboccatura del porto passarono liberamente le galee nemiche; e sulla abbandonata collina di Podomuri l'esercito conquistatore costruì il fortilizio che dalla vicina fontana fu detto del Calami (ora Izzedin), e più su ancora, ai confini del Paleocastro, ne eresse più tardi un altro, a scorno quasi della Repubblica, la quale così vanamente aveva sprecato il tempo in oziose discussioni, ed i denari in lavoro di niun conto."
Non si potrebbero trovare parole migliori per spiegare come andarono le cose, con un'unica eccezione: la parola "fatalmente". Forse 120 anni fa si faceva maggior uso di questo termine, che adesso ci sembra del tutto fuori luogo. Non ci fu alcuna fatalità. I turchi sbarcarono perché qualcuno permise loro di farlo, omettendo di fare quello che avrebbe dovuto. C'era tutto quello che occorreva per fare quel che serviva: capacità tecnica, mano d'opera a basso costo, tempo e denaro. Mancò solo la cosa più importante: la capacità di discernere e di decidere. Se ci fosse stata i turchi non sarebbero - con ogni probabilità - riusciti a sbarcare nel golfo di Suda. Sarebbero riusciti magari a farlo in un altro luogo, in tempi diversi, ma là e in quei giorni no. E la storia, magari di poco, ma sarebbe cambiata, se non altro per qualche data.
E' ovvio che sono uno di quelli che crede che la storia possa insegnarci qualcosa, altrimenti mi sarei limitato a raccogliere e mostrare delle immagini, risparmiandomi la fatica di scrivere. Molto di quello che è accaduto nel passato e accadrà nel futuro dipende da noi, dagli uomini, con qualche eccezione per gli eventi naturali improvvisi e inaspettati, come l'eruzione del Vesuvio nell'antichità, per difendersi dalla quale i poveri pompeiani non potevano farci proprio nulla. Però noi posteri potremmo aver imparato che abitare nelle case costruite sulle pendici dei vulcani ancora in attività può essere molto pericoloso. O no?
Alla fortezza di Suda successe praticamente quello era successo alla fortezza di Spinalonga: nonostante le critiche che piovvero da ogni parte durante la sua costruzione, fu una delle tre fortezze, assieme appunto a Spinalonga e Garabusa, che resistette a tutti gli attacchi degli ottomani, ma la sua importanza strategica era di gran lunga più delicata delle altre due fortezze, perchè non riuscì a fermare lo sbarco nemico. La flotta turca infatti riuscì facilmente a passare attraverso l'ampia bocca di porto, nel tratto che non era coperto dal tiro dei cannoni. Naturalmente si conosceva questo pericolo, e se n'era discusso a lungo, ma non fu fatto niente per scongiurarlo.
"Quando Retimo fosse dai Veneziani cominciato a fortificare, non sappiamo con precisione; ignorasi anzi se la città antecedentemente al dominio sia stata cinta di mura. Comunque, ciò avvenne prima del 1229. E da un solo disegno, del 1559, ci è dato arguire, quale forma avesse il vecchio recinto o castello, che abbracciava la parte più antica della città...". Questo scrive Giuseppe Gerola (pag.169, Vol.I, op. citata, 1905) nella sua monumentale opera, che citerò molte altre volte in questo capitolo, poiché la ritengo la più documentata fra quelle che ho trovato nel corso delle mie modeste ricerche, condotte - è giusto e utile che lo ripeta - non su documenti del tempo (le cosiddette "fonti"), ma su chi vi ha attinto con certo maggiori competenze delle mie, peraltro modestissime.
Si sa comunque che era di forma quadrangolare, con due lati verso il mare e due verso terra, su cui si aprivano le due porte. Erano anche presenti parecchie torri rettangolari, di una delle quali si ha notizia da un documento dei primi del 1303, perché dovette essere restaurata a causa di un crollo, verificatosi a causa di un terremoto. Ogni traccia di questo muro di cinta scomparve tuttavia nel 1571, quando la città fu incendiata in occasione di una scorreria dei turchi.